Articolo di Adriano Simoncini per Savena Setta Sambro

I giardini venuti dal vento

È il titolo fascinoso di un libro, altrettanto pieno di fascino, che racconta la nascita di un giardino fra i campi e le macchie della nostra montagna, al Casoncello, in comune di Loiano, lungo la strada che da Scascoli va all’Anconella. Ne è autrice la stessa proprietaria e creatrice del giardino, Maria Gabriella Buccioli – Gabriella per i tanti amici. Una storia avvincente, di cui sono protagoniste le piante che via via vanno a occupare un loro spazio nell’ettaro di terra ora chiamato “i giardini del Casoncello”, noti non solo in provincia, visto che vantano visitatori da tutto il mondo. Giardini, al plurale, perché somma di più spazi pensati e voluti distinti pur nella continuità che li raccoglie in un unicum: giardino delle erbe, della costa di casa, giardino-frutteto, bosco-giardino, orto-giardino, giardino della casa che non c’è… alcuni dei nomi assegnati dall’amorosa fantasia dell’autrice alla sua creatura. Nata, per sua stessa ammissione, come una fiaba, una fiaba di quelle che animava a scuola per i ragazzi. Perché Gabriella, prima di diventare giardiniera e ora scrittrice, è stata insegnante e teatrante. Una fiaba faticosa, fatta di duro lavoro manuale oltre che di razionale progettazione e ricerca documentaria. Molti mestieri ha infatti praticato per realizzare il sogno che s’andava materializzando intorno alla casa dei nonni, da tempo abbandonata. Il libro che testimonia l’impresa di far crescere un eden – e prima ancora un’abitazione – da un ammasso di rovine, sterpaglie, roveti ha una sua autonoma bellezza che la sontuosa, incombente presenza del giardino, soprattutto in chi lo conosce per averlo visitato, tende a oscurare. Si è portati cioè a leggere il libro in funzione del giardino. Bello il giardino, il facile sillogismo, dunque bello il libro. Non è necessariamente così. Il libro è una creatura altra, che segue canoni estetici suoi propri, una nuova creazione della geniale fantasia di Gabriella. Perché la nostra sa anche scrivere. La sua femminilità s’esprime in uno stile immaginoso che le fa cogliere un senso, ravvisare una propria ineguagliabile bellezza nella più umile delle piante. Gli occhi di meraviglia si stupiscono e commuovono per ogni avvenimento, per ogni atto pur minore della natura. Par di leggere certi scrittori dell’otto-novecento inglese, pionieri nel nuovo mondo o soltanto esploratori del proprio parco. Il non rinunciabile linguaggio scientifico sostanzia di concretezza e verità le descrizioni floristiche, ma non è pedante né ostico. Diventa gradevole struttura del periodare altrimenti emozionato dell’autrice: la precisione del botanico unita all’imprevedibilità dell’artista. Per chi ama appena un poco la natura, il libro è una lettura coinvolgente. Con le piante Gabriella ha un rapporto da persona a persona, riconosce loro un’identità viva, un’esistenza animata. Segue la vita di ciascuna con l’entusiasmo dello scopritore: la gioia per i nuovi arrivi e le nuove fioriture, il sincero dispiacere per le scomparse e i fallimenti. Pur fra centinaia di avvenimenti similari appunta con puntuale precisione nel suo diario di lavoro il momento magico del primo apparire. I suoi vivai naturali sono le prode dei fossi, i prati, i boschi, soprattutto i bordi delle strade che esplora mentre guida e che saccheggia per fare dei giardini del Casoncello una riserva protetta per le piante spontanee della nostra flora. Che sono come una folla in libertà, che va indirizzata, contenuta o stimolata a seconda delle specie e delle situazioni, delle reciproche relazioni di colore, di forma, di vigore. In ogni palmo di terreno, roccia o muro spuntano ospiti adeguati al sito, portati dal vento, grande seminatore, o da lei stessa trapiantati e seminati, che si contendono gli spazi e l’attenzione della giardiniera. Le piante, nella loro voglia di vivere, si comportano infatti come animali, anzi come persone – o almeno così appaiono alla sensibilissima penna della nostra. La quale asseconda la natura con un proprio progetto estetico, ma anche come un ingordo collezionista, cui nulla dispiace e che tutto il verde del mondo vorrebbe vedere attorno a sé. Ne risulta un compendio di botanica presentato come un romanzo d’amore e d’avventura. Un invito ad approfondire le conoscenze floristiche che il libro suggerisce. Un percorso fra le piante autoctone dell’Appennino, cui sono state aggiunte, ad abbellire, altre esotiche: oltre quattrocento quelle citate nel testo. Consapevolmente o no, l’opera è anche un manuale per giardinieri amatoriali, senza tuttavia pretese cattedratiche. Si presenta piuttosto come una raccolta di consigli, di suggerimenti, la messa in comune di esperienze esaltanti. Non ultimi i raccordi continui fra coltivazione e alimentazione, non solo per il riferimento ai prodotti dell’orto-giardino: le pagine accolgono con naturalezza ricette semplici e pur sofisticate, perché non comuni se non addirittura sconosciute. Moltissime e impensate sono infatti le piante che Gabriella utilizza per creme, salse, frittate, marmellate, sformati, insalate, infusi… Un libro dunque che si offre più livelli di lettura: fra gli altri come autobiografia di una donna diversa, coraggiosa, che ha fatto una scelta di vita fuori dagli schemi conformi dei più, una vita solitaria fra le piante fino a che il giardino non è diventato luogo di pellegrinaggio per gli amatori. I delicati disegni di Lucio Filippucci, suo compagno, che corredano il testo sono altrettanto fiabeschi e immaginosi pur nella precisione descrittiva, e sicuramente lo impreziosiscono. (a.s.)

 

Maria Gabriella Buccioli, I giardini venuti dal vento, Pendragon, Bologna 2003, pag. 246